Yosemite a 150 miglia all’ora

Cascate di 780 metri. Monti di granito con pareti inaccessibili. Laghi nati dalle lacrime di donne indiane. Alberi piu’ antichi della civilta’ greca. Boschi in cui gli unici suoni sono un distante uccello che canta, il vento tra i rami e le foglie.

La Natura. Con tutta la sua semplice e primordiale immensita’. Ecco cosa si vive nello Yosemite National Park. Certo, di montagne, e anche piu’ alte e imponenti ne ho viste sulle Alpi italiane. Ho camminato nei boschi italiani da quando ho poco piu’ di dieci anni. Ma In questo parco, tutto e’ piu’ esteso, magari le montagne meno alte, ma si dispiegano in lungo e in largo, ricoperte da boschi, corsi d’acqua, prati. E soprattutto, l’intrusione dell’uomo sembra essere ridotta a quanto di piu’ prossimo allo zero si possa immaginare. Questa e’ la grandezza del parco naturale che vive attorno al Merced River. Esistono alcune strade asfaltate per muoversi all’interno del parco e tra le varie aree attrezzate; ci sono campeggi e ristoranti e boutique. Ma e’ la Natura a regnare sovrana, e questi non sono che piccoli interventi dell’uomo per rendere apprezzabile e vivibile la visita a questi luoghi all’uomo medio di citta’. Quello che colpisce (forse sara’ anche che abbiamo la fortuna di vedere il parco in un momento di tranquillita’ turistica, non certo nel pieno estivo, anche se questo comporta che molte aree siano chiuse) e’ il rispetto, quasi riverenza che hanno tutti i visitatori (la maggior parte americani, anche se americani-messico/indiani erano la grande percentuale): a me e’ sembrato che avendo da poco scoperto e conquistato questi immensi territori (alla fine sono solo 150 anni che hanno iniziato a colonizzare quest’area degli Stati Uniti), e nonostante in altre parti del paese abbiano piegato completamente la natura al volere dell’uomo (o forse proprio per questo?), il ricordo della natura incontaminata e la sua possenza sia ancora vivo negli americani. E questo ricordo sia quello che li fa camminare ammirati e rispettosi di una primordiale forza, un qualcosa che sanno essere bellissimo e tremendo allo stesso tempo.

E ancora di piu’ ci si sente annichiliti dalla Natura, camminando nel bosco di sequoie giganti a sud del parco, attorno a Wawona. Ho visto foto, visto documentari, ma trovarsi al cospetto del Grizzly Giant, di persona, un “albero” che ha 2700 anni, e’ una senzazione strana, ti fa pensare una volta in piu’ a cosa siamo, quanto siamo fragili, a quanto e’ immenso tutto quello che abbiamo intorno e quanto il nostro correre e affaccendarci sia per certi versi inutile, o comuqnue superfluo se si dimentica la Madre natura.

Sulla strada verso Mariposa, tra le montagne illuminate da tutti i colori di un tramonto primaverile, ci imbattiamo in una Trans Am, nera, parcheggiata davanti a quello che sembra un capannone semiabbandonato di un meccanico. Chiunque sia cresciuto come noi davanti alla televisione negli anni 80/90 sa perfettamente quale immaginario ci sia immediamente balzato davanti agli occhi, ed eccoci gia’ a guadarla piu’ da vicino. Dalla struttura prefabbricata ci viene incontro un impobabile personaggio, alto non piu’ di un metro e sessanta, pancia da troppe birre al vento, pantaloncini corti e pepsi in mano. Subito inizia a raccontarci della macchina e ad invitarci a vedere, nel cortile, la sua prima macchina che stava rimettendo in sesto (un misconosciuto, almeno per me, pick up ford, di vent’anni fa, cheha come ruote posteriori due gomme piu’ larghe di un frigorifero). Quello che sembrava un capannone abbandonata di un meccanico si rivela essere UN campannone di un meccanico, con tutto il necessario per modificare e cotruire da zero qualunuqe tipo di automobile; e il nostro nuovo amico ha una predilizione per le macchine da corsa con tanti cavalli. Siamo contagiati dall’entusiasmo del meccanico/corridore, che ci illustra tutte le macchine che ha modificato o costruito e tutte le gare a cui a partecipato; fieramente ci mostra i suoi prototipi e le sue creature che spaziano dal maggiolino modificato (proprio come quello del film) a un razzo che raggiunge le 200 miglia orarie per correre nel deserto; dallo scheletro della futura macchina per una non meglio identificata gara, al motore su cui ha montato un carburatore italiano. Un inaspettato viaggio in un’altra faccia dell’america, che colpisce ancora di piu’ dopo la lunga giornata tra la natura. Usciamo dal capannone che e’ gia’ buio, ancora alcune miglia da percorrere… allontanandoci ancora uno sguardo dallo specchietto retrovisore:la silhouette della Trans Am e’ ancora li, ma quel bagliore rosso? mi volto e c’e’ solo la notte rischiarata dalle stelle: sara’ stata la stanchezza… (???) ;)

sorry guys, only cash

Arrivando a Mariposa, si ricade immediatamente nell’immaginario americano che ci saimo costruiti negli anni, davanti a televisori o leggendo libri.

Una strada principale, alcune stradine che la incrociano, tutti i negozi e alberghi che affacciano su di essa. Arrivando in tarda serata, quando il sole e’ gia’ tramontato, ma la sua luce ancora si diffonde nella valle, tutto ha un’aria ancora piu’ raccolta, quasi sacrale; le poche auto che passano sulla main street, possono essere sentite per tutto il loro percorso di avvicinamento, mentre coprono per un attimo il rumore dei grilli e di qualche sconosciuto e solitario uccellino, per poiA beer guys? lentamente scomparire nel silenzion della cittadina e de i boschi che la circondano.

Abbiamo ovviamente approfittato dell’unico locale della citta’, almeno cosi’ ci e’ parso, per bere una birra, post pizza-americana (ebbene si, abbiamo mangiato la pizza americana in un paesino sperduto in mezzo alle montagne…).

Un locale magnifico, ancora di piu’ il proprietario: potrebbe essere arrivato ora da una comunita’ hippie, o da un non ben identificato passato avventuroso.

La cosa che piu’ mi stupisce e’ il fatto che non abbia la possibilita’ di pagare con carta di credito: oramai ci eravamo abitutati a pagare persino il caffe con la carta. Ma se Cash only!un locale poteva non accettare la caerta di credito, non poteva essere che quello! Camminata fino all’unico ATM (il nostro bancomat) della citta’, e finalmente un paio di giri di birra, commentando la giornata e i pochi avventori del locale, con la maratona di Guerre Stellari che andava in onda silenziosa su uno dei televisori del locale.

Passi interrotti e contrattempi, al suono di Sirius radio. Take it easy

Macinato miglia su miglia, direzione Yosemite Park! Giocherellando con la nostra potente Ford, tra un panorama e una battuta, abbiamo scoperto di avere accesso alle radio satellitari, e la strada corre più veloce, dopo aver selezionato il genere ideale per il viaggio. Pranzo in un piccolo, piccolissimo locale per camionisti. Le migliori onion rings mai mangiate. Il cuoco assomigliava un po’ a Gollum, ma per me è diventato The Lord of the Onion Rings! (grazie Ste)lord of the onion rings Ma l’amerca non è solo sole (notiamo oggi che non abbiamo più visto nuvole da quando siamo scesi dall’aereo, neanche una piccola piccola all’orizzonte), paesaggi, donne e cibo. Ha anche un lato drammatico. Terribilmente drammatico. Quando ad esempio ti accorgi che il passo che avresti dovuto attraversare per raggiungere l’albergo è chiuso fino a giugno, e quindi dovresti allungare il viaggio di 250 miglia (e le miglia non passano proprio mai). E allora via con tutti i mezzi a disposizione per trovare un tetto alternativo per la notte, regalando a malincuore 80 dollari al gestore dell’albergo. Fosse solo questo… Quasi un divertente svago… (un poco caro, ok, ma siamo in vacanza..) è che devo cercare bene in tutte le borse e le tasche il mio bellissimo portafoglio di carta… Ho come l’idea di non trovarlo più.. mannaggia.

sf_seteeeeee

Cambio automatico e regolatore di velocita’, e si continua verso il nuovo albergo, a Mariposa, a una ventina di miglia dalle porte dello Yosemite. Ma le miglia non passano proprio! E allora capisci perche’ gli americani cantano sempre “Take it easy, Take it eeeeeasy”.

Cambio automatico sul golden gate

Dopo un cappuccino americano, seduti su sgabelli, con cookie in una mano e l’altra sul computer, puro stile San Francisco,abbiamo, dopo aver “apprezzato” la completa libertà americana (volete l’assicurazione sul vostro veicolo? E sui danni ad altre cose? Credit card, please!) preso possesso della nostra nera e fiammante Ford Fusion. sf_laford1Il motore romba, l’autoradio canta, il vento dai finestrini, il cambio automatico fa il suo, comodo, dovere, direzione nord.
Prima di attraversare la baia, tappa al Presidio District, dove e’ la sede di Industrial Light and Magic. Passeggiando nel campus, piu’ che in una societa’ di post- produzione, sembra di essere in un resort vacanze, dove si puo’ trascorrere la giornata nella piu’ assoluta rilassatezza e tranquillita’. Dovrei mandare un curriculum ;) .

sf_laford2Risalendo in macchina, ci siamo fermatti appena prima di passare sopra al Golden Gate, per le foto (e foto, e ancora foto) di rito. Il ponte e’ strabiliante, ma forse lo e’ ancora di piu’ il parco attorno, e le possibilita’ che vengono date agli abitanti e ai turisti di viverlo. Tra pescatori e gabbiani, bimbi e amanti del jogging, turisti e innamorati.

Poche miglia dopo aver attraversato il ponte, eccoci a Sausalito, con le sue HouseBoat caratteristiche, e il porto invaso da barche a vela.

Ancora piu’ a nord, ci addentriamo tra le morbide curve delle colline della Wine County. Qui i vigneti dominano il panorama, e le prime foglie colorano di verde i filari.

Sonoma e’ un piccola cittadina nel cuore della omonima valle, e la piazza principale mostra tutto il lato turistico ma ricercato che caratterizzato tutta questa zona. Vinerie per cinquantenni incravattati, piccoli ristoranti e negozi di cioccolato d’arte. E ancora vino.

Noi decidiamo di rilassarci con una birra.

Due tavoli da biliardo, qualunque quadro o icona che si possa immaginare ed aspettare in un bar per motociclisti appesa alle pareti; anche la musica sembrava fatta apposta per regalarci quella senzsazione di bar in cui ti aspetti una rissa da un momento all’altro: ma anche tutto questo era fatto su misura per dare questa immagine o e’ proprio nella natura del locale?

Ancora qualche miglia, accompagnati dal tramonto del sole, riflesso su file di cassette per la posta, arrugginite da troppo vento e pioggia, per arrivare al nostro motel. Un vesf_winecounty_lacarnero motel americano alla periferia di Santa Rosa, con tanto di cicciona simpatica alla reception (sara’ la prima a morire), musica diffusa (la colonna sonora per il nostro serial killer), l’immancabile tenda alla doccia da Psycho (spero non sia il luogo dell’assasinio). :)

Cena costosa ma buona in un ristorantino chic dalla parte opposta della citta’, con tanto di biro-con-tessf_winecounty_ilvinota-di-maiale-rosa-lampeggiante per firmare il conto; cibi buoni, con riferimenti alla cucina italiana, ottima carne speziata, vino ricco e corposo ma costosissimo per i nostri standard. Qui e’ proprio un bene di lusso: bottiglie tra i 27 e 150 dollari, con la media che si aggira attorno ai 60.

Domani si macinano altre miglia, destinazione Yosemite.

ps: aggiornamenti ai post passati!!!

I consigli del Pork Chop Express

sf_anni50Alcatraz. La prigione piu’ famosa al mondo (almeno fino ai misfatti e disastri degli ultimi anni di Guantanamo), resa celebre da letteratura e film, uno su tutti, la bella pellicola di Eastwood. La prigione da cui sarebbe stato impossibile uscire. Beh, anche entrare non e’ affatto semplice,  e ieri nonostante la volonta’ non ci siamo riusciti: tutti i tour “booked”. Ma oramai avevamo stimolato il mostro filmico, e quindi ci siamo diretti verso Chinatown. Tra gente che entra ed esce volando, bandiere cinesi che sventolano, panni stesi a balconi pericolanti, abbiamo colto il clima piu’ esotico dei blocks che compongono il quartiere. Certo, forse non e’ proprio la Chinatown che ci hanno regalato i film, manca il fumo dai tombini, le donne che tagliano il pollo dalle finestre, le gang che si danno battaglia con coltelli affilati tra i vicoli, ma gia’ il passaggio sotto la porta a forma di dragone per entrare nel quartiere e’ folkloristico (e tursf_moma2istico, ovviamente). Quando abbiamo scoperto che un piccolo vicolo e’ stato teatro delle riprese di “Grosso guaio a Chinatown“, siamo letteralmente impazziti, e abbiamo sperato in un’improvvisa apparizione di Lo Pen, con tanto di fulmini e tempeste.Il malefico non e’ apparso, ma abbiamo trovato un angusto negozietto/laboratorio, e qui si che sembrava di essere dentro un film di serie B ambientato a Chinatown, con tanto di donne che lavoravano, il vecchio con un occhio semichiuso che parla un cinoinglese meraviglioso, altri personaggi non identificati sullo sfondo; un laboratorio in cui producono i magici biscotti della fortuna cinesi. Dopo le foto, con il proprietario che doveva essere sempre dentro all’inquadratura, abbiamo mangiato il nostro biscotto, spezzandolo, e quasi mi e’ sembrato che una magica polvere di stelle si liberasse nell’ambiente poco illuminato, e letto i consigli di Fu Ling Yu.
sf_moma1Dopo aver rimesso i piedi sul pianeta terra, abbiamo affrontato l’attivita’ preferita qui a San Francisco, mangiare. Un fantastico ristorante cinese, realmente al di sopra di qualunque semicinese mai mangiato prima, ci ha accolto, dopo un’attesa in coda al di fuori, per sfamarci con gusti agrodolci e amabilmente fredda birra cinese.
Una passeggiata digestiva ci ha portato in una splendida piazza affollata da gruppi di cinesi, giovani ed anziani, intenti a giocare a scacchi (ovviamente cinesi), a un misconosciuto gioco di carte o a dama. Vociare e sputi si mischiano al traffico e ai suoni del quartiere finanziario, che si trova accanto, basta attraversare una strada.

Il quartiere italiano, North Beach, una camminata di cinque minuti dalla piazza in cui ci trovavamo, ci ha fatto tornare ai temsf_solstice2pi della beat generation, grazie alla visita ai Ferlinghetti Book Store, e poi accolto per un piacevole riposino sotto il sole di Washington Square.
Il tardo pomeriggio e la sera sono volati visitando il SFMOMA (Museum Of Modern Art), cinque piani di esposizioni, di cui siamo riusciti a vederne solo tre e mezzo, tra temporanee e fisse.

Siamo rimasti a bocca aperta scoprendo (scusate l’ignoranza, ma ammetto di non averne mai sentito parlare prima, e me ne spiace) un artista geniale come William Kentridge. Una bellissima e poetica fusione tra animazione tradizionale, stop motion, animatronics, musica, proiezioni, riprese live. Assolutamente da conoscere e vedere!

sf_solstice1

Dopo una lunga camminata per Market St in compagnia dei ritardatari del lavoro e di una quantita’ altissima di senzatetto, abbiamo fatto tappa in albergo per poi dirigerci in un locale, anche questo molto americano, direi uno chic-pub, il Solstice, dove abbiamo incontrato Chris e alcuni suoi roommate e Wei, un’altra amica di Nic (autentico mentore spirituale di questo tour di SF).

Serata divertente, e nonostante la padronanza non completa della lingua, siamo attivi nella conversazione tra Scrable e Scarabeo, Clue e Cluedo, musica, lavoro, Bush e Berlusconi, Roma e San Francisco.

Nice!

solo un giro ancora e poi andiamo

Evidentemente nei film, quando ad un appuntamento con uno sconosciuto, si dicono: “Sono quello con un ombrello rosso” oppure “Leggero’ un libro con la copertina verde”, c’e’ un motivo. C’e'un motivo se non dicono mai “Sono quello che indossa uno zaino nero”. C’e’ un motivo… Tutti hanno uno zaino nero sulle spalle! Anche tutti gli avventori dell’Horseshoe Tavern, un pub in Marina District, dove avevamo,ieri sera, un appuntamento con Chris, un amico di Nic.

Guardinghi abbiamo iniziato il nostro giro di Bud e Guinness. Attorno a noi, gruppi di ragazzi, giocatori di biliardo, e zaini neri. Di ogni forma e fattura.

Finalmente il nostro fare da “turisti” ha avuto il sopravvento, e siamo riusciti a incontrare Chris. Ed eccoci a parlare, bere, conoscersi, brindare e “solo un giro ancora e poi andiamo”… e abbiamo chiuso il locale…

Tra colline, rivoluzioni e burritos

Ancora colline! :) Ecco, si, sapevo che San Francisco era sorta su una zona collinare, ma tra l’immaginarsela e scarpinare su e giu’ per le sue strade ci passano tutta una serie di suole di scarpe che si consumano! ;)

Oggi abbiamo attraversato il quartiere dove e’ iniziata la rivoluzione hippie, haight-ashbury; non avevamo fiori sul capo, e del clima rivoluzionario di quarant’anni fa non rimane che un vago, lontanissimo ricordo, sommerso dalla paccottiglia e dalle piu’ strane stravaganze indiano-sessantottine, tra magliette che scherzano sulla terza gamba e selezioni infinite di narghile’ da scegliere, ma il quartiere rimane divertente e piacevole. Abbiamo passato decine e decine di minuti a perderci tra gli espositori di Amoeba a guardare e riguardare vinili e cd: selezione musicale veramente impressionante. Un paio di vinili da portare a casa non potevano mancare.

Attraversato Buena Vista Park, che ci ha regalato una bellissima vista sulla citta’, siamo arrivati nel quartiere in cui e’ esplosa un’altra rivoluzione, negli anni settanta, Castro. Da Milk Plaza, siamo risaliti per Castro St. gustandoci un buon caffe’ in un bar-cioccolateria (e il cioccolatino alle nocciole piu’ dolce che abbia mai mangiato) e poi perdendoci in una fumetteria; il quartiere e’ decisamente benestante e ricco di negozi alla moda (maschile) e oggettistica (non solo per la casa). Ma, rispetto alle descrizione che avevo letto, e per come me lo immaginavo, il quartiere gay per eccellenza, almeno di giorno, mi e’ sembrato molto meno trasgressivo del previsto. Certo, non e’ proprio la zona piu’ adatta per abbordare una ragazza. :)

Cammina, cammina, e si arriva ad un altro parco, Mission Dolores Park, sulla diciottesima, con i suoi campi da tennis liberi, il campo da basket, i giochi per i bimbi e tante persone sdraiate a rilassarsi e godersi il sole, cullati dall’immancabile brezza. Salendo verso sud (ed evitando accuratamente di prendere qualunque mezzo pubblico) abbiamo fatto un giro nell’adiacente Noe Valley, che la Lonely Planet descrive come paradiso dei genitori con cuccioli d’uomo, cosa peraltro vera, vista la quantita’ di passeggini che abbiamo incrociato. Dopo aver consumato le suole per cercare le case in stile vittoriano, che la guida indicava come una particolarita’ della zona (senza pero’ dare indicazioni esatte sulla loro ubicazione), ci siamo arresi e diretti verso la zona ispanica, Mission.

Mantendo fede alla nostra religione, niente mezzi pubblici per arrivare in un quartiere completamente diverso dall’ordinato e quasi Paese-della-provincia-americana Noe Valley; giungendo in Mission St, si nota subito la preponderanza della matrice ispanica nella popolazione; colorato e dicesamente piu’ caotico, vivo e vissuto. Camminando verso nord, abbiamo attraversato Mission district lungo una delle sue arterie principali, alla ricerca dei famosi murales (bellissimo quello sul palazzo delle donne) e ci siamo fermati per mangiare un incredibile burrito. wow. incredibile non basta per descriverlo.

Verso la via di casa, abbiamo ceduto alla tentazione di un bus, cercando di capire come funzioni il biglietto… e le porte per scendere!

Ora un giro verso Marina, per una birra e incontrare qualche indigeno! :)

Tra otarie, colline e vento!

Lunga camminata nel vento, ieri. E il vento descrive alla perfezione questa citta’. Ero pronto alle colline, ai tram, alla gente solare di San Francisco. Ma il vento e’ cio’ che piu’ mi ha colpito (in tutti i sensi!)

E arrampicarsi su per strade che crescono in collina, aspettando da un momento all’altro un inseguimento di auto, tra motori rombanti, ammortizzatori che soffrono e copricerchioni che saltano.

E l’incredibile disponibilita’ e attenzione al prossimo dei sanfrancischesi (ma come si dice, realmente??): noi che ci aggiriamo, ancora non ripresi dalle 11 ore di volo, come dei cretini, per la metro, cercando di inserire i quarti di dollaro in un tornello, evidentemente, rotto, e incontri persone gentilissime che ti spiegano, aiutano; e non puoi fare a meno di pensare al povero turista giapponese sperso per Roma che non viene altro che guardato in maniera strana e, sotto sotto , deriso.

a ride on the bart

E i leoni marini! In una parte di SF che e’ quanto di piu’ commerciale e turistico si possa immaginare (c’era anche la macchina di Zoltar!!!), ti ritrovi a rimanere a bocca aperta guardando questo ammasso di carne, semi addormentata, che non si sa bene come, ha deciso che quell’angolo di baia era la loro nuova casa, incurante di foto, musica e centinaia di turisti, bambini, che commentano il loro tranquillo vivere.

otarie al molo 39

otarie al molo 39

Volando col sole

A parte una quantita’ di sole mai conosciuta prima (ma quand’e’ che si spegne un po’?!?!) e i francesi compagni di viaggio non proprio cordiali (ma soprattutto sempre sdraiati), siamo arrivati in California… accolti da un vento che non da tregua, da qualche problema con l’accesso alla metro, e da tutta la “cultura” americana!

All’aereoporto siamo arrivati, ora si inizia a fare sul serio

Fiumicino airport

Tra dubbi sulla valigia che stava scoppiando, non so mai quanti vestiti, ma soprattutto boxer (vero Paolo??) :) portare (e pesava piu’ di un quarto di bue), nonostante la coda che sono riuscito a creare al controllo di sicurezza (avevo piu’ roba elettronica con me che un negozio mediaworld intero), superata anche la coda al bar per dissetarci con la spremuta piu’ costosa di tutta Roma, siamo, in orario, ad aspettare che aprano l’imbarco! Pronti a partire!