Creare un film per il suono

Nel (poco) tempo libero delle passate settimane, ho tradotto in italiano un breve, ma secondo me fondamentale, saggio sul suono nei film scritto da Randy Thom, sound designer presso Skylwaker Sound da quasi tre decenni. Su Filmsound trovate l’articolo l’originale (in inglese) oltre a molti altri di Thom, Murch, Burtt, etc.

Spero che questo articolo sia interessante e stimolante; spero lo condividiate con altri colleghi, amici, appassionati di cinema e suono, ma non solo. Soprattutto spero possa illuminare tutte quelle persone che lavorano nel cinema (sceneggiatori, registi, montatori, produttori, scenografi, direttori della fotografia, costumisti, ecc) sulle possibilità narrative del suono e su come utilizzarlo appieno nei loro lavori. (A fine pagina trovate anche una versione in pdf). Buona lettura!

Designing A Movie For Sound – Creare un film per il suono

© by Randy Thom, 1999. http://www.filmsound.org/articles/designing_for_sound.htm

Traduzione italiana Davide Favargiotti

Il più grande mito a proposito della composizione musicale e del sound design è che riguardino la creazione di suoni meravigliosi.

Questo non è vero, o meglio non è vero abbastanza.

Che cos’è il Sound Design?

Si potrebbe ritenere che il Sound Design riguardi la creazione di effetti sonori brillanti ed efficaci. Questo però non descrive accuratamente quello che Ben Burtt e Walter Murch, che hanno inventato il termine, realizzarono rispettivamente in “Star Wars” (Guerre Stellari) e “Apocalypse Now”. In questi due film, lavorarono con registi che non cercavano solo effetti sonori particolari e potenti da incollare su una struttura precostituita. Sperimentando con il suono, “giocando” con il suono (e non soltanto con gli effetti sonori, ma anche con la musica e i dialoghi) durante tutta la produzione e post-produzione, Francis Coppola e Walter Murch, George Lucas e Ben Burtt, scoprirono che talvolta il suono cominciava a modellare l’immagine tanto quanto l’immagine plasmava il suono. Il risultato fu qualcosa di molto differente da qualsiasi cosa si fosse sentita prima. Questi film sono entrati nella storia, e le loro colonne sonore cambiarono per sempre il modo in cui oggi è concepito il suono dei film.

Quello che oggi passa per “bel suono” in un film è, il più delle volte, solamente suono molto forte. L’alta qualità di registrazione di effetti come spari ed esplosioni, o anche i vocalizzi di creature aliene ben ideati non danno vita ad un grande sound design.

Una partitura musicale ben orchestrata e registrata ha un valore minimo se non è integrata nel film e forma un tutt’uno con esso.

Dare agli attori molte cose da dire in ogni scena non è necessariamente un aiuto alla loro recitazione, ne è di aiuto ai loro personaggi o al film in generale.

Un suono, che sia musicale o di altro genere, ha un valore quando fa parte di un continuum, quando evolve con lo scorrere del tempo, quando è dinamico e risuona con gli altri elementi sonori e con le altre esperienze sensoriali.

Affinché un filmmaker possa trarre vantaggio dal suono non basta una buona registrazione della presa diretta o ingaggiare un abile sound designer/compositore per creare suoni particolari: piuttosto serve scrivere, creare, disegnare il film tenendo presente il suono, così da permettergli di influenzare decisioni creative negli altri reparti (scrittura, regia, recitazione, montaggio, etc). Film diversi tra loro come “Star Wars” (Guerre Stellari) e “Citizen Kane” (Quarto Potere), “Raging Bull” (Toro Scatenato), “Eraserhead”, “The Elephant Man”, “Never Cry Wolf” (Mai gridare al lupo) e “C’era una volta il West” (Once Upon A Time In The West) hanno un suono minuziosamente costruito, anche se nessun sound designer è stato accreditato nella maggior parte di queste pellicole.

Sorge allora la domanda: ogni film dovrebbe, o avrebbe bisogno di essere come “Star Wars” o “Apocalypse Now”? Assolutamente no. Molti film però potrebbero beneficiare enormemente da questi esempi. Recentemente Sidney Lumet, durante un’intervista, ha reso noto il suo stupore per quanto fossero stati in grado di realizzare Francis Coppola e Walter Murch nel mix di “Apocalypse Now”. Ebbene, tutto ciò che di grande si trova in quel mix cominciò molto prima che qualcuno soltanto si avvicinasse alla sala mix. Di più, tutto ebbe inizio nella sceneggiatura, e con il desiderio di Coppola di dare ai personaggi in “Apocalypse” l’opportunità di ascoltare il mondo attorno a loro.

Molti registi che credono di apprezzare il suono hanno un’idea piuttosto ristretta del potenziale che esso ha nel raccontare una storia. L’opinione generale è che sia utile avere un “buon” suono per dare valore alle immagini e fissarle in una sorta di realtà temporale. Ma questa non è collaborazione, è schiavitù. E il prodotto è destinato ad essere meno sfaccettato e interessante rispetto a come potrebbe essere se il suono fosse in qualche modo libero di essere parte attiva del processo creativo. Soltanto quando ciascun’arte influenza le altre, il film inizia ad avere una vita propria.

Un cosa quasi viva

È un mito comune che il momento per i filmmaker in cui iniziare a pensare seriamente al suono sia al termine del processo creativo del film stesso, quando cioè la struttura del film è già costruita. D’altra parte, un compositore come potrebbe sapere che genere di musica scrivere non potendo visionare almeno un montato grezzo del prodotto finito?

Per alcuni film questo approccio è adeguato. Talvolta, funziona incredibilmente bene. Non sembra però bizzarro che in questo mezzo espressivo [medium], che si suppone basato sulla collaborazione, la musica e gli effetti sonori raramente abbiano l’opportunità di interagire ed influenzare le scelte creative in altre aree non sonore? Può un regista sapere come realizzare il suo film senza avere un piano su come e dove utilizzare la musica?

Un film drammatico che funzioni veramente, è, in un certo senso, quasi vivo; una complessa rete di elementi connessi tra loro, come tessuti viventi, che nonostante la loro complessità, collaborano insieme e generano un sistema più o meno coerente di comportamenti. Non ha alcun senso creare un processo nel quale il ruolo di una determinata arte, il suono in questo caso, è semplicemente quello di reagire e seguire, ed è impossibilitata dal poter dare feedback al sistema di cui è parte.

La base di partenza, così com’è ora

Molti registi, il più delle volte, tendono ad oscillare tra due stati assai differenti di consapevolezza riguardo al suono dei loro film. All’inizio, tendono ad ignorare qualsiasi seria considerazione riguardante il suono (inclusa la musica) durante tutta la pre-produzione, le riprese e il primo montaggio. Quindi, improvvisamente, vengono colti da una sorta di folgorazione mistica quando realizzano che ci sono buchi nella storia, scene deboli ed errori di montaggio da mascherare. Si accende in loro la speranza che il potere del suono possa rendere il loro film guardabile. Ma è una speranza vana. Arrivati a questo punto, sfortunatamente, il più delle volte è troppo tardi. Dopo alcuni inutili tentativi, come se si potesse arginare un’emorragia con un semplice cerotto, la testa del regista cade, e l’atteggiamento cinico nei confronti del suono torna a regnare nuovamente fino agli stadi avanzati della post-produzione del prossimo progetto.

I paragrafi seguenti sono una lista di alcune sconfortanti realtà che quelli tra noi che lavorano nel suono per il cinema devono affrontare quotidianamente, e alcuni suggerimenti per migliorare la situazione.

Pre Produzione

Se una sceneggiatura ha molti riferimenti a suoni specifici, potremmo essere portati a pensare che si tratti di una sceneggiatura in cui si presta molta attenzione al ruolo del suono cinematografico. Questo però non è necessariamente sempre vero. La misura in cui il suono potrà partecipare attivamente alla narrazione sarà maggiormente determinato dall’uso del tempo, dello spazio e dei punti di vista nella storia piuttosto che dal numero di volte in cui nella sceneggiatura vengano menzionati suoni specifici.

Molte delle grandi sequenze sonore nel cinema sono sequenze in soggettiva [in originale POV, Point Of View]. La fotografia, la messa in scena, la scenografia, la direzione artistica, il montaggio e i dialoghi sono stati pensati affinché tutti noi, spettatori, possiamo vivere l’azione come se fosse il punto di vista di uno, o più, dei protagonisti/personaggi della sequenza. Dato che quello che vediamo e sentiamo è filtrato attraverso i loro sensi, la loro coscienza, quello che ascoltiamo può fornirci molte informazioni su chi siano i protagonisti e quali siano le loro sensazioni e i loro stati d’animo. Lo sceneggiatore dovrebbe essere il primo a capire come usare le soggettive, così come lo spazio sonoro e lo scorrere del tempo. Alcuni sceneggiatori pensano naturalmente in questi termini, ma la maggior parte non lo fa; e nei corsi di sceneggiatura non viene quasi mai insegnato.

Solitamente le riflessioni sul come e sul dove utilizzare suoni e musica nella narrazione della storia vengono lasciate al regista, successivamente alla stesura della sceneggiatura. Sfortunatamente, la maggior parte dei registi ha soltanto vaghe nozioni sul suono e sul suo utilizzo narrativo, poiché nessuno gliel’ha mai insegnato. In quasi tutte le scuole di cinema, il suono viene trattato dagli insegnanti, e quindi percepito dagli allievi, come una noiosa e confusa serie di operazioni tecniche, un male necessario sulla strada del vero divertimento.

Produzione

Sul set, praticamente ogni aspetto del lavoro dei fonici è vincolato dalle necessità del direttore della fotografia. Le location vengono scelte dal regista, dal direttore della fotografia e dallo scenografo molto prima che una qualsiasi persona del reparto suono sia anche solo contatta.

Il più delle volte, i set sono allestiti con poche, o nessuna, preoccupazione, o perfino consapevolezza, delle implicazioni sul suono: ad esempio il ronzio delle luci o il camion del gruppo elettrogeno parcheggiato troppo vicino. Il pavimento o il terreno potrebbe facilmente essere ricoperto per ridurre il suono dei passi quando i piedi non sono nell’inquadratura, ma non c’e’ mai abbastanza tempo. Le inquadratura sono normalmente composte, messe in scena e girate dando poca importanza e non andando incontro alle esigenze del fonico di presa diretta o dei reparti di post produzione audio: questo non permette di sfruttare appieno tutte le potenzialità drammatiche del suono in quella situazione.

Quasi sempre sono motivazioni riferite alle immagini che determinano quali take saranno stampati e utilizzati; ogni momento che non contiene qualcosa di affascinate visivamente viene velocemente scartato.

Raramente le discussioni vertono su cosa dovrebbe essere sentito piuttosto che visto. Per esempio, in un film, se alcuni dei nostri personaggi stessero parlando in un bar, uno di loro potrebbe essere in un angolo scuro. Possiamo sentire la sua voce, ma non lo vediamo. Sottolinea le poche cose che dice con il suono di una bottiglia che fa rotolare avanti ed indietro sul tavolo davanti a lui. Alla fine inserisce un foglio di carta nella bottiglia e la fa rotolare lungo tutto il pavimento del bar fino a fermarsi ai piedi di uno dei personaggi che riusciamo a vedere. Questo approccio potrebbe essere utilizzato per un effetto comico, drammatico, o per entrambi, come potrebbe essere stato usato in “C’era una volta nel West”. In ogni caso, il suono sta contribuendo alla narrazione. L’uso del suono influenzerà enormemente il modo in cui il set è costruito. Affamare la vista inevitabilmente porterà l’orecchio, e quindi l’immaginazione, molto più in gioco.

Post-produzione

Infine, durante la post-produzione, il suono cautamente scivola fuori dal cassetto e cerca, sommesso, di affermarsi, normalmente nella persona del compositore o del supervisore al montaggio del suono.

Al compositore vengono date quattro o cinque settimane per produrre dai settanta ai novanta minuti di grande musica.

Al supervisore al montaggio del suono vengono assegnate dalle dieci alle quindici settimane

per montare i dialoghi di presa diretta, selezionare, registrare, sincronizzare il doppiaggio e provare a infilare alcuni specifici effetti sonori in sequenze che non sono mai state pensate per loro, stando ben attenti a preparare ogni possibile opzione che il regista potrebbe desiderare, perché il regista “non ha tempo” per scegliere prima del mix.

Intanto, il film è continuamente rimontato. Il montatore e il regista, cercando disperatamente di migliorare il materiale che hanno a disposizione, stanno meticolosamente facendo aggiustamenti, i più di pochi fotogrammi, che costringono i montatori della musica, degli effetti sonori e del dialogo a passare una grande percentuale del prezioso tempo a loro disposizione cercando di rimediare a tutti i buchi creati dalle modifiche di montaggio.

La negatività che circonda la registrazione del doppiaggio è in un certo senso emblematica del ruolo secondario del suono. Tutti riconoscono che la performance degli attori nei dialoghi in presa diretta sia quasi sempre superiore che nel doppiaggio. Quasi tutti i registi e attori disprezzano il processo del doppiaggio. E tutti partecipano alle sessioni di doppiaggio con il presupposto che il risultato sarà inferiore a quanto registrato sul set, eccetto il fatto che sarà più comprensibile lì dove le registrazioni in presa diretta (nella maggior parte dei casi in cui è richiesto il doppiaggio) erano coperte da rumore e/o distorte.

Questa opinione negativa riguardo alla possibilità di ottenere alcunché di positivo dalle sessioni di doppiaggio, risulta in una profezia che si auto-avvera. Praticamente nessuna energia viene spesa nel tentativo di portare nelle sessioni di doppiaggio quel livello di emozione, energia e esplorazione che caratterizzavano il set quando la camera stava girando. Il risultato è che le performance delle sessioni di doppiaggio sono quasi sempre prive di quella “vita” che caratterizza l’originale, mentre sono più o meno sincronizzate e sono intelligibili. Perché non registrare il doppiaggio nelle location, in luoghi reali, che possano inspirare gli attori e fornire un’acustica realistica? Questo sarebbe prendere il doppiaggio seriamente.

Così come altre attività legate al suono nel cinema, il doppiaggio è trattato in pratica come un’operazione tecnica, che deve essere conclusa il più velocemente ed economicamente possibile.

Prendere seriamente il suono

Se la vostra reazione a quanto discusso fino ad ora è “Beh, cosa ti aspetti, il cinema non è un mezzo di comunicazione visivo?”, allora c’è poco che si possa scrivere per cambiare la vostra opinione. La mia opinione è che il cinema non sia assolutamente un “mezzo di comunicazione visivo”. Penso che se osservate attentamente e ascoltate una dozzina circa di film che considerate importanti, vi accorgerete quanto sia fondamentale il ruolo che il suono occupa nella maggior parte di questi. È anche un po’ fuorviante dire “il ruolo che il suono occupa” perché quando una scena funziona veramente, gli elementi visivi e sonori lavorano assieme così bene che è praticamente impossibile separarli.

I suggerimenti che sto per elencare ovviamente non si possono applicare a tutti i film. Non ci sarà mai una “formula” per realizzare capolavori cinematografici o per ottenere un bel suono. Comunque sia…

Scrivere per il suono

Raccontare una storia in un film, e più in generale qualunque tipo di storia, vuol dire creare collegamenti tra i personaggi, i luoghi, gli oggetti, le esperienze e le idee. Si può provare a inventare un mondo complesso e strutturato, come il mondo reale. Ma al contrario di quanto accade nella vita reale (che tende ad essere scritta male e montata ancora peggio), in un buon film una serie di temi emergono a definire ed identificare chiaramente una linea od un arco, che è la Storia.

Credo che un elemento della scrittura si ponga al di sopra di tutti gli altri al fine di realizzare un film quanto più “cinematografico” possibile: il punto di vista. Il pubblico vive l’azione attraverso l’identificazione con i personaggi. È necessario che la scrittura ponga le basi per costruire i vari punti di vista prima che gli attori, le camere, i microfoni e i montatori entrino in gioco. Ciascuno di questi elementi può ovviamente enfatizzare la soggettiva, ma la sceneggiatura dovrebbe contenerne già lo stampo iniziale.

Diciamo che stiamo scrivendo una storia su un ragazzo che, da bambino, amava andare a trovare il padre all’acciaieria dove lavorava. Il ragazzo cresce e sembra molto felice della sua vita come avvocato, lontano dalla fabbrica. Ma ha paurosi, ambigui incubi che eventualmente lo porteranno indietro alla città natale, a quel bambino che è stato, nel tentativo di trovare la sorgente di quei terribili sogni.

La descrizione precedente non dice nulla di specifico riguardo al possibile uso del suono nella storia, ma ho scelto semplici elementi che contengono grandi potenzialità per il suono. In primo luogo, sarà naturale raccontare la storia più o meno attraverso il punto di vista del nostro personaggio principale. Ma non è tutto. Un’acciaieria ci offre un’ampia “tavolozza” di possibilità per il suono: è soprattutto un luogo che possiamo manipolare per produrre una serie di suoni che vanno dal banale all’eccitante, al pauroso, al soprannaturale, al confortevole, al brutto, al bello. L’acciaieria, anche se solo un luogo, può diventare essa stessa un personaggio, e avere una propria voce, con uno spettro di “emozioni” e “stati d’animo” diversi, e i suoni dell’acciaieria potranno risuonare in un’ampia varietà di elementi nella storia. Nessuna di queste belle cose potrà facilmente accadere se non scriveremo, gireremo e monteremo la storia in modo da permettere che questo accada.

L’elemento “Sogno” in una storia apre i cancelli al suono in veste di collaboratore. In una sequenza onirica, noi, come filmmaker, abbiamo ancora più possibilità di modellare il suono al servizio della nostra storia, in modo da creare collegamenti tra i suoni nel sogno ed i suoni nel mondo reale, suoni come fossero indizi provenienti dal sogno. Inoltre, il “bordo temporale” tra il “periodo da bambino” e il “periodo da adulto” ci offre molte opportunità per mettere a confronto e diversificare i due mondi e la percezione che si ha di essi. Durante la transizione da un periodo all’altro, uno o più suoni possono subire una metamorfosi. Per esempio mentre il nostro protagonista torna a sognare ad occhi aperti la propria giovinezza, il ritmico rumore metallico [clanck] di una pressa della fabbrica può trasformarsi nello sferragliare [click clack] della carrozza ferroviaria che lo sta riportando nella sua vecchia città. Qualsiasi suono, preso da solo, non ha niente di particolarmente interessante ma appena interagisce con gli elementi di una storia più grande si modifica e il suo valore e il suo potenziale crescono esponenzialmente.

Aprire la porta al suono, un dialogo efficiente

Tristemente, è piuttosto normale che un regista arrivi da me con una sequenza, ambientata in una location come la nostra acciaieria, composta però da inquadrature che non hanno nulla di ambiguo, misterioso o interessante e che mi chieda di rendere quel luogo sinistro e affascinante con gli effetti sonori. E come ciliegina sulla torta, la sequenza ovviamente ha un dialogo continuo che rende praticamente impossibile ascoltare qualsiasi suono che potrei utilizzare per ottenere il risultato.

Negli ultimi anni c’è stato un trend, probabilmente sotto l’influsso negativo di una brutta televisione, verso dialoghi senza sosta per tutta la durata dei film. La vecchia e saggia massima che raccomanda di raccontare con le azioni piuttosto che non le parole sembra aver perso parecchio terreno. Quentin Tarantino ha realizzato alcuni eccellenti film che dipendono pesantemente dal dialogo, ma ha incorporato anche scene che hanno un dialogo molto rarefatto.

C’è un fenomeno nel cinema che i miei amici ed io chiamo talvolta “la teoria del cento percento”. Ciascuno capo-reparto in una produzione, se non diversamente istruito, tende ad presumere che sia esclusivamente il suo lavoro a far funzionare o meno un film. Questo porta ad un ingorgo di scoordinati prodotti visivi e sonori, poiché ciascun reparto creativo compete per attirare l’attenzione, non aggiungendo altro che confusione, a meno che regista e montatore abbiano svolto il loro lavoro estremamente bene.

Il dialogo è un’area dove questa inclinazione verso la densità raggiunge livelli estremamente negativi. Sopra alla presa diretta, la tendenza è di aggiungere tanto doppiaggio quanto possa essere infilato: tutto lo spazio non occupato da parole sarà riempito da grugniti, gemiti e respiri (con lo scopo di “tenere vivo il personaggio”). Alla fine, la traccia si salverà (qualche volta) dall’essere una parodia di se stessa soltanto perché ci sono così tanti altri suoni contemporaneamente che almeno una parte di tutto questo dialogo aggiunto è mascherato.

Se la vostra intenzione è riempire il vostro film con dialoghi senza sosta dall’inizio alla fine, forse dovreste considerare di dedicarvi al teatro.

I personaggi devono poter ascoltare

Quando un personaggio guarda un oggetto, noi, spettatori, osserviamo quello stesso oggetto attraverso i suoi occhi. Il modo in cui reagisce alla vista di quell’oggetto (o non reagisce) può darci informazioni vitali riguardo a chi sia e a come si adatti alla situazione. Lo stesso vale per l’ascolto. Se non ci sono momenti in cui al nostro personaggio è permesso di ascoltare il mondo attorno a lui, allora gli spettatori saranno privati di un’importante dimensione della SUA vita.

Immagine e suono come collaboratori

Gli effetti sonori possono rendere una scena paurosa e interessante da morire, ma di solito hanno bisogno di un piccolo aiuto dalla parte visiva. Per esempio, potremmo voler sentire fuori campo il suono strano e particolare di un macchinario, per aggiungere tensione e creare l’atmosfera. Se ci fosse almeno una breve inquadratura in primo piano di un qualche macchinario che potrebbe emettere quel rumore, ciò aiuterebbe immensamente a rendere credibile quel suono nella scena. Durante quella sola inquadratura potremmo sentire in primo piano quel suono, così che entri bene nella mente degli spettatori e, dopo, non avremo più bisogno di rivedere il macchinario: ogni volta che gli spettatori risentiranno quel suono, saranno in grado di riconoscerlo (anche se sarà ad un livello molto basso sotto il dialogo), e sapranno fare le dovute associazioni, incluso stabilire un senso geografico del luogo.

Il contrasto tra un suono udito in lontananza e lo stesso identico suono ascoltato da vicino può essere un elemento molto potente ai fini della narrazione. Se, per esempio, il nostro protagonista e un suo vecchio amico stessero camminando verso l’acciaieria e si sentisse, già ad alcuni isolati di distanza, il suono lontano dei macchinari che riempie l’ambiente circostante, si andrebbe a creare un forte e potente contrasto quando si troveranno davanti ai cancelli della fabbrica.

Da ex fonico di presa diretta, se un regista mi avesse detto di voler girare una scena ad alcuni isolati di distanza dalla fabbrica per poter evidenziare quanto potenti fossero i suoni dell’acciaieria anche nel vicinato, probabilmente sarei caduto direttamente in coma, per la felicità e l’emozione, dopo essermi prostrato ai suoi piedi. Difficilmente un regista decide come girare una scena in base alle necessità del suono affinché possa contribuire alla storia. Perché?

Scenografia e suono come collaboratori

Supponiamo di stare creando un personaggio per il nostro film. Questo ragazzo è senza soldi, arrabbiato, disperato. Abbiamo, ovviamente, bisogno di inventare il luogo dove vive. Forse potrebbe essere un appartamento decadente in una grande città. Il modo in cui quel luogo apparirà, ci racconterà (a noi spettatori) moltissimo riguardo a chi sia questa persona, quali siano i suoi sentimenti e il suo modo di vivere. Se prendessimo in considerazione anche il suono mentre si inizia a costruire visivamente questo luogo, allora potremmo far sentire, attraverso le orecchie del nostro personaggio, quanto terribile sia il posto in cui vive. Forse i tubi dell’acqua e degli scarichi sono visibili sul soffitto e lungo i muri. Se inquadrassimo con un primo piano uno di questi tubi sarebbe fantastico per il sound designer, che potrebbe creare i suoni di cose che corrono dentro e li fanno vibrare. Senza vedere i tubi potremmo comunque mettere il “suono del tubo” nella traccia sonora, ma sarà molto più difficile comunicare agli spettatori da dove provengano tali suoni. Il dettaglio di un tubo, accompagnato da un grottesco rumore di scarico, è tutto quello di cui abbiamo bisogno per raccontare chiaramente al pubblico quanto quel posto sia orribile anche dal punto di vista sonoro. Fatto questo, si potranno semplicemente sentire quei suoni di scarico e gli spettatori faranno i collegamenti ai tubi senza doverli rivedere mai più.

È fantastico quando un film trasmette la sensazione di conoscere realmente i luoghi della storia. Che ogni luogo sia vivo, abbia una sua personalità e un’atmosfera. Un grande attore troverà diversi modi per usare il luogo in cui si trova per rivelare e trasmettere ancora di più del personaggio che interpreta. Abbiamo bisogno di sentire i suoni che quel luogo produce, i suoni che lo caratterizzano per poterlo conoscere. Abbiamo bisogno di sentire la voce dell’attore riverberare sulle pareti e nello spazio, e quando l’attore non parla, abbiamo bisogno di sentire come quel posto sarebbe senza di lui.

Affamare l’occhio: l’utilizzo dell’ambiguo

Gli spettatori/auditori sono attirati da una storia principalmente perché sono spinti a credere che ci siano delle interessanti domande a cui bisogna dare una risposta, e che loro possano avere alcune intuizioni utili a risolvere il puzzle. Se questo è vero, allora ne segue che un elemento cruciale della narrazione sia individuare cosa non rivelare immediatamente, e poi utilizzare tecniche che usino la camera e il microfono per sedurre gli spettatori con quelle minime informazioni sufficienti a coinvolgerli. È come se il nostro lavoro sia appendere piccoli, interessanti punti di domanda nell’aria che circonda ogni scena o lasciare piccole briciole sul terreno che sembrino condurre ad una meta, senza tuttavia percorrere una linea retta.

Il suono può essere l’arma più potente nell’arsenale di un filmmaker quanto a capacità di seduzione. Questo perché “il suono”, come disse una volta il grande montatore del suono Alan Splet, “È una cosa del cuore” [Sound is a heart thing].

Noi spettatori interpretiamo il suono con le emozioni e non con la ragione.

Poniamo che come filmmaker vogliamo prendere seriamente il suono, e che le prime difficoltà siano già state superate:

  1. Esiste il desiderio di raccontare una storia più o meno attraverso il punto di vista di uno dei personaggi
  2. Le location sono state scelte e i set costruiti in modo da non escludere il suono come partecipe alla narrazione, anzi lo incoraggiano.
  3. I dialoghi contengono le giuste ed importanti pause: non è un film con dialogo continuo.

Ecco alcuni modi per solleticare gli occhi e invitare le orecchie a partecipare al gioco:

La bellezza di lenti lunghe e lenti corte

C’è qualcosa di strano nel guardare attraverso una lente moto lunga o molto corta: le cose ci appaiono in un modo che è fuori dall’ordinario, ed è come se stessimo guardando attraverso gli occhi di qualcun altro. Nella sequenza iniziale di “The Conversation” (La conversazione), le riprese con un teleobiettivo ci mostrano persone camminare in Union Square a San Francisco. La mancanza di profondità di campo e altre caratteristiche tipiche di questo tipo di lenti ci conducono in uno spazio molto soggettivo. Come risultato, possiamo facilmente giustificare il sentire suoni che avrebbero molto poco a che fare con quello che vediamo proiettato e più con ciò che pensa o sente la persona che apparentemente sta guardando attraverso queste lenti. Il modo in cui usiamo questa inquadratura determinerà se la suggestione sia più o meno palese per gli spettatori.

Inquadrature oblique [Dutch angles] e movimenti macchina

L’inquadratura può essere dal pavimento o dal soffitto. Il fotogramma può essere ruotato alcuni gradi rispetto alla verticale. La macchina può essere su un carrello, a mano o semplicemente fare una panoramica. In ciascuno di questi casi, però, l’effetto sarà porre gli spettatori in un ambiente non familiare.

L’inquadratura non starà semplicemente “mostrando” la scena: l’inquadratura diventerà parte della scena. L’elemento spaziale sconosciuto di colpo spalanca le porte al suono.

Buio attorno ai margini del fotogramma

In molti classici film noir, l’inquadratura è stata meticolosamente composta con aree di buio. Sebbene gli spettatori non possano coscientemente esaminare cosa vi sia in quei luoghi oscuri, colgono il fatto che la verità, celata da qualche parte appena fuori dall’inquadratura, sia troppo complessa per essere fotografata facilmente. Non dimentichiamo che le orecchie sono le guardiane della noia: il suono ci racconta quello che dobbiamo sapere di quell’oscurità e ci fornisce volentieri indizi su quello che sta accadendo.


Primissimi piani e campi lunghi

I primissimi piani delle mani di una persona, dei vestiti, ecc, propenderanno a farci sentire come se stessimo sperimentando le cose attraverso il punto di vista della persone ripresa o della persona di cui condividiamo la soggettiva.

I campi lunghissimi sono meravigliosi per il suono perché ci danno l’opportunità di ascoltare la ricchezza o il vuoto di un vasto paesaggio. Nei film di Carroll Ballards “The Black Stallion” (Black Stallion) e “Never Cry Wolf” (Mai gridare al lupo) possiamo trovare splendidi esempi di utilizzo di campi lunghissimi e primissimi piani con il suono.

Slow motion

“Raging Bull” (Toro Scatenato) e “Taxi Driver”(Id.) contengono alcuni palesi e altri impercettibili usi dello slow motion.

Alcuni sono appena percettibili, ma sembra sempre che ci portino in uno spazio-sogno, ci dicano che qualcosa di strano, non molto sano, stia succedendo

Il bianco e nero

Molti fotografi [still photgraphers] pensano che le immagini in bianco e nero abbiano molti vantaggi artistici rispetto a quelle a colori. Tra questi, uno è che il bianco e nero sia spesso meno “affollato” rispetto alle immagini a colori e perciò si presti meglio a trasmettere un insieme di sensazioni coerenti. Noi siamo circondati nella vita di ogni giorno dal colore e dalle immagini a colori. Un’immagine in bianco e nero oggi è chiaramente “percepita”/”sentita” come il punto di vista di qualcuno, non come la rappresentazione “oggettiva” degli eventi. Nei film, come nella fotografia, nella pittura, nella scrittura e nella poesia, gli artisti tendono ad essere più preoccupati di trasmettere sentimenti e sensazioni piuttosto che “informazioni”. Le immagini in bianco e nero hanno il potenziale di esprimere il massimo delle sensazioni senza la “confusione” del colore.

Ogni volta che gli spettatori sono messi in uno “spazio visivo” nel quale sono incoraggiati a “sentire” piuttosto che “pensare”, ciò che arriva alle nostre orecchie può permeare queste sensazioni ed amplificarle.

Cos’hanno in comune tutti questi approcci visivi?

Sono tutti metodi per nascondere/trattenere informazioni: sporcano un poco le acque. Quando è fatto bene, il risultato che ne deriva è il seguente: “Cavolo gente, se potessimo essere più espliciti riguardo a ciò che succede, lo saremmo di sicuro, ma è così tanto misterioso che nemmeno noi, autori, comprendiamo completamente quanto incredibile sia. Forse potreste aiutarci a spingerci oltre”.

Questo messaggio è l’esca. Fatela penzolare davanti agli spettatori e non saranno in grado di resistere a inseguirla. Nell’inseguirla porteranno la loro immaginazione e le loro esperienze, trasformando improvvisamente la vostra storia nella loro storia: successo!

Noi, filmakers, siamo seduti attorno a un tavolo in pre-produzione, pensando e ripensando su come realizzare l’esca più desiderabile possibile, e su come non farla sembrare assolutamente un esca. (Le storie più belle, non sono sempre raccontate da persone che devono essere pregate per raccontarle?). Sappiamo che talvolta vorremo utilizzare la camera per nascondere informazioni, per incuriosire, o per metterla più schiettamente: per sedurre. Il metodo di seduzione più convincente è inevitabilmente quello di coinvolgere anche il suono.

Idealmente, il dialogo inconscio nelle menti degli spettatori dovrebbe essere qualcosa del tipo: “Quello che sto vedendo non mi da abbastanza informazioni. Anche quello che sento è ambiguo. Ma la combinazione delle due sensazioni sembra che stia puntando nella direzione di un contenitore vagamente familiare nel quale posso riversare la mia esperienza e creare qualcosa che non avevo mai immaginato”.

Non è ovvio che il microfono giochi un ruolo importante come la camera nel creare questa situazione [performance]?

Montare la scena pensando al suono

Uno delle molte cose che il montatore scena fa è eliminare i momenti nel film in cui “non succede nulla”. Questo è un obbiettivo desiderabile il più delle volte, ma non sempre. Il montatore e il regista devono essere in grado di capire quando sarà utile indugiare su una inquadratura dopo che il dialogo è finito, o prima che inizi. O tenere un’inquadratura dopo che l’ovvia “azione” è passata, così che noi possiamo ascoltare. Di sicuro aiuta non poco se la scena è stata girata pensando a queste utili pause. In queste piccole pause il suono può insinuarsi, in punta di piedi o con scarponi sferraglianti, per raccontarci qualcosa riguardo a dove siamo o a quello che succede.

Walter Murch, montatore scena e sound designer, utilizza molte tecniche non convenzionali. Una di queste è passare un certo periodo montando la scena senza alcun suono. Guarda e monta le immagini senza sentire il suono sincrono di presa diretta. Questo approccio può, ironicamente, essere di grande vantaggio per il suono del film. Se il montatore può immaginare il suono (musicale o no) che potrebbe eventualmente accompagnare una scena, invece che ascoltare la rozza, discontinua, spesso noiosa colonna di presa diretta, allora il montaggio sarà in grado, molto probabilmente, di lasciare spazio per quelle pulsazioni nelle quali il suono al di là del dialogo potrà eventualmente dare il suo contributo.

I talenti del suono

Musica, dialogo ed effetti sonori possono ognuno svolgere questi lavori:

    • Suggerire uno stato d’animo, evocare una sensazione
    • Stabilire un ritmo
    • Definire un luogo geografico
    • Definire un periodo storico
    • Chiarire la trama
    • Definire un personaggio
    • Collegare idee, personaggi, luoghi, immagini o momenti altrimenti scollegati
    • Aumentare il realismo o diminuirlo
    • Aumentare l’ambiguità o diminuirla
    • Attirare l’attenzione su un dettaglio o allontanarla.
    • Definire un cambio di tempo
    • Spianare cambi tra inquadrature/scene altrimenti troppo bruschi
    • Enfatizzare una transizione per un effetto drammatico
    • Descrivere uno spazio acustico
    • Sorprendere o calmare

In ogni momento del film,  è facile che il suono stia svolgendo molte di questi compiti contemporaneamente.

Ma il suono, se è buono, ha anche una vita propria, oltre ad avere queste funzioni pratiche. E la sua abilità di essere utile e buono per la storia, oltre che potente, bello e vivo, sarà determinato dallo stato del mare in cui nuota: il film. Provate a incollare il suono su una struttura predeterminata, e il risultato quasi sicuramente non raggiungerà lo scopo. Ma se incoraggiate il suono dei personaggi, degli oggetti, dei luoghi nel vostro film ad influenzare le vostre decisioni in tutte le altre arti e aspetti del cinema, allora il film crescerà e avrà una voce che supererà ogni vostra aspettativa.

Quindi, cosa fa un sound designer?

Era il sogno di Walter Murch ed altri ai tempi altamente creativi della prima American Zoetrope che il suono fosse preso seriamente come l’immagine. Pensavano che almeno alcuni film potessero utilizzare la guida di qualcuno molto preparato nell’arte di raccontare con il suono [sound in storytelling] non solo per creare suoni, ma anche coordinare l’utilizzo del suono nel film.

Questo qualcuno, pensavano, avrebbe scambiato idee con il regista e lo sceneggiatore durante la pre-produzione per integrare, già sulla carta, il suono nella storia.

Durante le riprese quella persona si sarebbe assicurata che alla registrazione del suono sul set fosse data l’importanza necessaria, e non trattato solamente come una bassa priorità, che è sempre la tentazione provando a raggiungere la quota giornaliera di girato prevista.

Durante la post-produzione quella persona avrebbe continuato la costruzione e collezione di suoni iniziata durante la pre-produzione e avrebbe lavorato con altri professionisti del suono (compositori, montatori, fonici), e con il regista e il montatore per dare alla colonna sonora del film un senso coerente e coordinato.

Questo sogno è stato difficile da realizzare, e infatti ha fatto pochi progressi dai primi anni settanta. Il termine sound designer è venuto ad essere associato semplicemente con l’utilizzo di apparecchiature specializzate per creare effetti “speciali”. In “THX-1138” (L’uomo che fuggì dal futuro) e “The Conversation”, Walter Murch è stato sound designer nel senso più completo del termine. Il fatto che fosse anche il montatore scena ne “The Conversation” e “Apocalypse Now” lo ha posto nella posizione di poter plasmare questi film in modo da poter usare il suono in maniera organica e potente. Nessun altro sound designer ha avuto la stessa opportunità in un film prodotto dalle major americane.

Per ora, il sogno di dare al suono lo stesso status dell’immagine non è ancora realtà.

Un giorno l’Industria potrà apprezzare e adottare il modello affermato da Murch. Fino ad allora, quando montate il dialogo, scrivete una sceneggiatura, registrate una musica, eseguite il foley, montate la scena, dirigete il film o fate uno delle centinaia di altri lavori su un film, quando montate il suono, modellate il suono, o anche solo considerate il suono mentre prendete decisioni creative in un’altro ambito, state, in un certo senso, creando il suono del film e creando il film per il suono.

Randy Thom 1999

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