Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e ‘l suon di lei. Così tra questa
Infinità s’annega il pensier mio:
E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito di Giacomo Leopardi
Rileggendo questa splendida poesia, che a scuola abbiamo tutti dovuto affrontare più o meno interessati, mi fermo a pensare.
Non ho mai amato molto Leopardi, anzi. Negli anni degli studi (elementari, medie, ma soprattutto, ovviamente, liceo), anni in cui ho fatto la conoscenza forzata con il maestro di Recanati, non e’ mai accaduto di trovare quello stimolo che porta ad approfondire e quindi a portare poi con se negli anni la sua poetica. Semplicemente non mi trasmetteva le emozioni che servono a smettere di parlare e scherzare con il compagno di banco, e a provare ad andare oltre all’obbligo del banco scolastico per scoprire quello che si nasconde tra quelle righe lette ad alta voce, causa di infiniti richiami per la costante perdita del “segno”.
Solo alcuni endecasillabi mi avevano fatto andare oltre all’obbligo di studio. I quindici qui sopra. Inquieti (come solo l’Infinito sa esserlo), ma di una inquietudine forse diversa da tutta la poetica di Leopardi. Un’inquietudine che avvolge e inebria, e lascia senza parole. E quest’immagine,
“questa siepe, che da tanta parte
de l’ultimo orizzonteil guardo esclude“:
e la mente che vola al di là del verde arbusto, e si perde…
E rileggendoli questa sera, ecco che mi colpiscono tutti i suoni, silenzi, sussurri; questo dipinto di rumori e di vuoti che corrono tra questi pochi versi, e li definiscono e colorano.
“Sovrumani silenzi, e profondissima quiete”
“il vento odo stornir tra queste piante”
“quello infinito silenzio a questa voce vo comparando”
“e le morte stagioni e la presente e viva, e il suon di lei”
“naufragar m’è dolce in questo mare”
E sono queste immagini sonore, come un’altalena tra il silenzio, cosmico e interiore, e il fragore delle onde del mare, un mare caldo come un abbraccio avvolgente di donna, e il divenire del tempo, scandito dal canto degli uccelli primaverili, dal vento autunnale che spazza le foglie a terra, dalla pioggia sul vetro, dal continuo e inarrestabile divenire delle stagioni, che compongono questa splendida poesia sulla vita
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